
Questa estate, durante la crisi di Governo, avevo pubblicato su questo blog un articolo che proponeva qualche suggerimento al futuro ministro della pubblica amministrazione (Le sfide per la Pubblica amministrazione del futuro. Qualche suggerimento per il ministro che verrà)
L’articolo si basava su alcuni punti fondamentali:
- NO nuove riforme e nuove leggi
- Accompagnare le amministrazioni alla riorganizzazione
- definizione delle nuove competenze
- ruolo centrale della contrattazione
- ruolo della dirigenza
- formazione
- innovazione tecnologica
Non ho la presunzione di affermare che qualche suggerimento sia stato accolto, ma nelle linee programmatiche che il ministro Zangrillo ha presentato al Parlamento il 6 dicembre ci sono molte cose che mi fanno pensare che si può proseguire sulla strada del rinnovamento della PA senza introdurre nuove leggi, concentrandosi sulle persone.
Nelle sue linee programmatiche il ministro ha declinato tre parole chiavi : competenza, responsabilità e merito.
Competenza
Il programma del Ministro Zangrillo richiama la competenza sotto due aspetti: reclutamento e formazione.
Due fattori fondamentali per la Pubblica amministrazione del futuro. Il reclutamento non può che passare attraverso un’attenta analisi del fabbisogno e soprattutto mediante la definizione delle famiglie professionali e dei profili professionali previste nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
“Ciò che serve è attrarre le migliori competenze per favorire un percorso di rinnovamento e miglioramento della macchina amministrativa in linea con le esperienze più avanzate di altri Paese europei”. La ricerca delle migliori competenze può essere perseguita solo dopo una riorganizzazione delle amministrazioni seguita dalla definizione del fabbisogno di personale.
E’ un lavoro affidato alle singole amministrazioni, che però possono (anzi devono) essere accompagnate in questa fase di transizione. Ed è proprio questo che il ministro afferma nelle sue linee programmatiche (con l’ascolto e il confronto; con il Formez e con la SNA)
Lo abbiamo scritto in questo blog con la prof.ssa Saporito nell’articolo “PA, la riforma in mano agli enti”
Occorre sfruttare le opportunità create dalle più recenti riforme, dai nuovi contratti e – finché dura – dalla disponibilità ad investire sulle persone della PA, senza perdere tempo e senza perdere l’occasione storica. Questa è una sfida degli enti, dei loro vertici gestionali, dei loro direttori del personale.
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Gli spazi di innovazione sono ampi: da un lato la riprogettazione dei modelli organizzativi a partire dal disegno dei nuovi profili e dalla possibilità di usare la pianificazione dei fabbisogni di personale per cambiare il mix di ruoli e competenze, fino alla regolamentazione del lavoro agile e altre forme di flessibilità del lavoro; dall’altro la possibilità di rilanciare la contrattazione integrativa per stabilire criteri e modelli di gestione delle progressioni e delle carriere retributive.
La competenza richiama la formazione. “Fare formazione – afferma il Ministro – non significa solo dotare i nostri dipendenti delle conoscenze e degli strumenti informatici adeguati, ma vuol dire, innanzitutto, garantire un processo di aggiornamento continuo, capace di affrontare la sfida dell’innovazione”
La formazione è una leva importante nella gestione del capitale umano, che non deve essere un mero adempimento, ma utilizzata dalle amministrazioni per raggiungere gli obiettivi strategici prefissati. Ancora oggi le amministrazioni lasciano alla singola persona la responsabilità del proprio aggiornamento professionale, questo è quanto di più sbagliato si possa fare.
I piani di formazione sono lo strumento per pianificare in modo adeguato gli interventi formativi e trasformare il capitale umano in capitale intellettuale
I piani devono tenere conto, dei processi di mobilità e di reclutamento di nuovo personale, dei programmi di sviluppo della qualità dei servizi, nonché delle esigenze di accrescimento e sviluppo professionale, con particolare riferimento alla riqualificazione e alla progressione del personale. Cosi la formazione si trasforma da costo a investimento.
Merito
Nelle linee programmatiche il ministro ha inserito il merito nel capitolo riguardante la dirigenza. Assolutamente condivisibile. La ricerca del merito deve partire dal ruolo della dirigenza, dalla capacità di gestire, saper condurre i propri collaboratori verso il raggiungimento degli obiettivi dell’ente. Il merito individuale si deve tradure in un merito collettivo, come se fosse un’orchestra e il dirigente il direttore dell’orchestra.
“Il MERITO è un valore che, a prescindere dalla nostra volontà, appartiene alla vita di tutti noi. Penso anche che una corretta declinazione del merito sia un elemento essenziale per la crescita dell’individuo e delle organizzazioni. Valutare il merito significa misurare la nostra capacità di esprimere le nostre virtù, i nostri migliori talenti, il nostro saper fare. Significa prendersi cura delle persone, occuparsi del loro benessere organizzativo, misurare il livello di soddisfazione rispetto al proprio impegno”
Merito vuol dire valutazione, una chimera per tutte le riforme fatte fino ad oggi. Questa, invece, è la sfida: attuare negli enti una valutazione che possa evidenziare il merito, sia quello individuale sia quello collettivo. E la valutazione è uno dei compiti principali del dirigente. Saper gestire vuol dire saper valutare.
Responsabilità
Merito e valutazione richiamano la terza parola chiave utilizzata dal Ministro: Responsabilità.
“RESPONSABILITA’ il sostantivo che meglio lo descrive: conseguire i risultati e fare accadere le cose, agire con tempestività, guidare le persone promuovendone la crescita, generare l’ottimismo favorendo lo spirito di squadra. Tutte capacità in cui francamente non riesco a ravvisare alcuna distinzione tra il dirigente pubblico e i manager del settore privato. Sono entrambi protagonisti, in egual misura, dei processi di gestione e modernizzazione delle strutture organizzative, nello sviluppo e nella valorizzazione delle risorse umane che gli vengono affidate, al fine innanzitutto di premiare il merito.“
Il dirigente quindi come protagonista dei processi di gestione e di modernizzazione delle strutture organizzative. La vera riforma della pubblica amministrazione, che mette al centro le persone, passa attraverso la capacità dirigenziale.
Occorre reclutare dirigenti che abbiano un approccio multidisciplinare, che perseguono un logica del problem solving. Permane però nel nostro ordinamento l’eterno dilemma tra il dirigente generalista e quello specialista. Il dirigente, della transizione tecnologica e di quella amministrativa, deve essere in possesso di adeguate doti manageriali e, dunque, di competenze e non di conoscenze, poiché il saper dirigere non è compito astratto, ma attività concreta cui devono coniugarsi competenze specifiche, condizione che si riflette anche sulle modalità di accesso e reclutamento della dirigenza. Di questo parleremo in un prossimo articolo.
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