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Come superare i “No” della dirigenza nei confronti della politica (le relazioni tra politica e burocrazia)

Qualche giorno fa il Ministro Crosetto in un intervista al Messaggero ha posto in evidenza la vecchia questione “politica e burocrazia”. Il ministro ha dichiarato: “fermiamo la burocrazia dei no”.

Di quale burocrazia parla il Ministro? Ho già scritto su questo blog che quando si parla di burocrazia in generale non si capisce bene a chi ci si riferisce. Se parliamo dei dirigenti, come effettivamente sembra dalle affermazioni del Ministro, è bene distinguere tra quelli “scelti” dalla autorità politica e quelli appartenenti all’amministrazione.

Nell’organizzazione di un Ministero quali persone sceglie il Ministro e quali trova? Innanzitutto il Ministro nomina il capo di gabinetto e il capo Ufficio legislativo. Poi insieme a questi sceglie tutta la struttura di gabinetto che è più o meno ampia a seconda del peso del ministero (in alcuni casi la struttura di gabinetto è divenuta una vera e propria struttura parallela a quella ministeriale). Poi il Ministro nomina il segretario generale, ovvero i capi dipartimenti a seconda dal tipo di organizzazione prevista nel regolamento del ministero.

La differenza tra il segretario generale con gli uffici di diretta collaborazione è evidente: nel Ministero, mentre il capo di gabinetto è uno stretto collaboratore di esplicita fiducia del Ministro, il segretario generale è, dove previsto, il capo dell’amministrazione, dotato di poteri di coordinamento e, in qualche caso, di poteri gerarchici sui dirigenti funzionari preposti agli uffici.

Quindi tutta l’organizzazione di vertice viene individuata dall’autorità politica, sia quella fiduciaria collegata allo staff del Ministro, sia quella di vertice amministrativo. E’ un fatto di non poco conto: vuol dire che nella scelta dovrebbero essere individuate competenze (non persone come spesso accade) di grande capacità ed esperienza per guidare strutture complesse composte da dirigenti che hanno professionalità e competenze tecniche.

Sulla base di questa impostazione, sarebbe fiduciaria la dirigenza che non svolge compiti di amministrazione concreta e che collabora con i vertici politici all’elaborazione dei programmi, delle direttive, degli indirizzi e cioè quindi al cosiddetto policy making (attività di alta amministrazione).

Questa fase di elaborazione di programmi, direttive e indirizzi, molte volte è solo formale e poco sostanziale. Da qui ne discende il problema dei problemi nelle pubbliche amministrazioni: quello della valutazione. Della valutazione se ne parla tanto, ma se andiamo a vedere nella pratica nessun vertice politico pone la giusta attenzione sul sistema di valutazione, preferisce una valutazione non scritta dei propri dirigenti.

Passiamo ora ad analizzare la questione della dirigenza dell’amministrazione, quella di ruolo. Qui vorrei portare la mia esperienza professionale. Ho collaborato con parecchi ministri nella mia carriera professionale, ma non ho mai detto no per una questione ideologica o altro. Ogni volta che ho risposto No ad una richiesta di un ministro è perché quella cosa non si poteva fare per motivi di legittimità. In altri casi invece, dove le norme lo permettevano, posso aver consigliato di non fare una determinata cosa, ma se il ministro, nonostante il mio consiglio, volesse comunque perseguire lo stesso l’obiettivo, l’ho fatto senza oppormi. Perciò è necessario distinguere tra i no posti all’autorità politica.

I burocrati temono la responsabilità personale e cercano riparo dietro le loro regole; la loro sicurezza e il loro orgoglio risiedono nella lealtà verso le regole, non già nella lealtà verso le leggi del cuore umano (Erich Fromm)

In tutto questo dobbiamo sempre ricordare che l’attuale ordinamento del pubblico impiego prevede in modo specifico la separazione tra politica e gestione, che è anche una separazione di responsabilità tra la politica e la dirigenza.

Allora ricollegando il tutto alle questioni poste all’inizio, abbiamo una dirigenza fiduciaria che dovrebbe fare da trait d’union tra politica e dirigenza di gestione, fissando gli indirizzi e gli obiettivi da raggiungere e una dirigenza di gestione che quelli obiettivi deve cercare di raggiungerli.

Ma quanti ministeri, enti, agenzie, individuano all’inizio dell’anno gli obiettivi da affidare ai singoli direttori generali? Penso per esperienza personale nessuno.

Perciò senza un sistema di valutazione efficace ( nel senso non di mero adempimento) diventa impossibile capire se ci sia una dirigenza che ostacoli o meno l’azione politica e allo stesso tempo diventa difficile per il dirigente difendersi dalle accuse di una burocrazia che rallenta l’azione della politica.

Il dubbio alla fine è: a chi conviene non valutare o essere valutati? All’autorità politica, alla dirigenza o ad entrambi?

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