Immaginiamo Maria, 58 anni, responsabile del protocollo in un ministero romano. Quando entrò in servizio, nel 1990, l’amministrazione pullulava di colleghi sotto i trent’anni; oggi, nella sua stanza, la più giovane è lei. A fine giornata Maria si domanda chi, fra cinque anni, saprà destreggiarsi tra i fascicoli cartacei ancora necessari, i flussi digitali e le mille eccezioni procedurali che solo l’esperienza insegna.
Non è un caso isolato. L’età media del personale pubblico ha raggiunto i 51 anni – sei in più rispetto al settore privato – e la quota di under 30 è ormai simbolica. Secondo i dati della Ragioneria Generale dello Stato, la PA italiana è tra le più anziane d’Europa. Tra pensionamenti anticipati, blocchi del turnover e concorsi a singhiozzo, nei prossimi cinque-sette anni uscirà un’intera generazione di “memoria istituzionale”.
Eppure, quando il nuovo CCNL Funzioni Centrali 2019-2021 è stato firmato, pochi hanno dato peso all’articolo 27 “Obiettivi e strumenti di age management”. Il testo è asciutto: richiama l’attenzione delle amministrazioni sull’aumento dell’età media dei lavoratori e prescrive strategie mirate per valorizzare le persone lungo l’intero percorso professionale, promuovere ambienti produttivi, tutelare la salute e garantire formazione continua. Ma dietro quelle righe c’è la risposta concreta alla storia di Maria – e al rischio di un brusco vuoto di competenze che nessun software colmerà da solo.
Un tesoro nascosto nella contrattazione
Come sottolineato da lavoce.info, l’art. 27 rappresenta «una piacevole novità» proprio perché integra la contrattazione sui diritti individuali con una visione prospettica di benessere organizzativo.
Leggendo l’articolo 27, emerge una visione sorprendentemente moderna della gestione del capitale umano pubblico. Non si parla genericamente di “anziani”, ma di “personale con maggiore esperienza”, portatore di “un prezioso patrimonio di competenze e conoscenze da trasmettere alle nuove generazioni”. Il CCNL propone strumenti concreti: dialogo intergenerazionale, affiancamento per i neoassunti, formazione peer-to-peer, maggiore flessibilità lavorativa, prevenzione dell’obsolescenza delle competenze.
Che cos’è, in pratica, l’age management? L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute (EU-OSHA) lo definisce “una strategia che rende sostenibile il lavoro lungo tutto l’arco di vita, favorendo l’invecchiamento in buona salute e lo scambio intergenerazionale di sapere”. Non è un welfare “per anziani”, ma un modo diverso di organizzare persone, processi e tecnologia affinché ogni fase di carriera sia utile per l’amministrazione e dignitosa per il dipendente.
Quando la norma resta sulla carta
Nonostante la lungimiranza dell’articolo 27, l’age management resta una grande occasione mancata per la PA italiana. Perché questo disinteresse? Le ragioni sono varie e intrecciate.
Innanzitutto, la cultura amministrativa italiana è ancora profondamente ancorata a modelli organizzativi tradizionali, dove l’anzianità è vista più come un costo da gestire che come una risorsa da valorizzare. “La questione demografica è trattata come un problema contabile, non come un’opportunità di riorganizzazione”, mi confida un direttore del personale di un’importante agenzia statale, che preferisce restare anonimo.
C’è poi una questione di priorità. In un contesto di risorse limitate e riforme continue, le amministrazioni tendono a concentrarsi sull’immediato – concorsi, progressioni, contrattazione integrativa – piuttosto che su strategie a medio-lungo termine. Il comma 3 dell’articolo 27 prevede un monitoraggio annuale delle politiche di age management, ma quante amministrazioni lo hanno effettivamente implementato?
Non aiuta nemmeno la frammentazione delle competenze: l’age management richiederebbe un approccio integrato tra uffici del personale, formazione, sicurezza sul lavoro e innovazione. Una collaborazione non sempre facile nelle strutture a compartimenti stagni tipiche della nostra PA.
Curioso, infine, lo scarso interesse delle stesse organizzazioni sindacali, teoricamente prime beneficiarie di una norma che protegge i lavoratori più anziani e favorisce il dialogo intergenerazionale. “Il sindacato è ancora focalizzato sulle rivendicazioni tradizionali – stipendi, carriere, orari – e fatica a cogliere la portata innovativa di strumenti come l’age management”.
L’urgenza nascosta
Eppure, i numeri raccontano un’urgenza che non possiamo più ignorare. Secondo le stime più recenti, circa il 30% degli attuali dipendenti pubblici lascerà il servizio entro il 2026. Un esodo massiccio che interesserà soprattutto figure dirigenziali e profili specialistici, portando con sé un patrimonio inestimabile di conoscenze tacite, relazioni istituzionali e memoria storica.
Per le PA, implementare seriamente l’art. 27 significa assicurarsi:
- Continuità operativa: Se il mentoring diventa prassi, l’uscita di un esperto non lascia buchi di servizio.
- Produttività difesa: Postazioni ergonomiche, formazione digitale mirata e percorsi di lavoro ibrido riducono assenze e infortuni.
- Attrattività: Un ambiente che integra senior e junior attira talenti giovani e riduce le dimissioni lampo osservate in molti neo-assunti.
Per i sindacati è un terreno di tutela qualificante: salute, conciliazione vita-lavoro, sviluppo professionale non si esauriscono in rivendicazioni economiche ma parlano di qualità dell’occupazione.
Mentoring e reverse mentoring: la chiave del successo
Tra gli strumenti più promettenti dell’age management spicca il binomio mentoring/reverse mentoring, esplicitamente richiamato dal CCNL quando parla di “dialogo intergenerazionale” e “formazione peer-to-peer”.
Immaginate Giovanni, 60 anni, funzionario esperto in appalti pubblici, che affianca Claudia, 28 anni, neoassunta dopo un brillante concorso. Giovanni condivide con Claudia la sua esperienza trentennale: come leggere tra le righe di un capitolato, quali relazioni istituzionali coltivare, come gestire situazioni critiche che nessun manuale descrive. È il mentoring classico, un trasferimento di sapere dal senior al junior.
Ma la rivoluzione avviene quando i ruoli si invertono. Claudia, nativa digitale con studi recenti, può aiutare Giovanni a districarsi tra piattaforme digitali, nuove metodologie di project management, applicazioni collaborative. È il reverse mentoring, prezioso non solo per le competenze trasmesse, ma anche per il messaggio che veicola: in un’organizzazione sana, tutti hanno qualcosa da insegnare.
“Il vero knowledge management non è un database o un manuale, ma una conversazione continua tra generazioni diverse”, osserva un dirigente dell’INPS che ha sperimentato con successo programmi di mentoring incrociato. “Quando un senior si sente valorizzato come ‘maestro di mestiere’, la sua motivazione aumenta esponenzialmente, anche a pochi mesi dalla pensione”.
“Il vero knowledge management non è un database o un manuale, ma una conversazione continua tra generazioni diverse. Quando un senior si sente valorizzato come ‘maestro di mestiere’, la sua motivazione aumenta esponenzialmente, anche a pochi mesi dalla pensione.”
Guardando oltre confine
L’Italia non deve inventare nulla da zero. In Europa esistono già eccellenti modelli di age management pubblico da cui trarre ispirazione.
In Finlandia, il Programma Nazionale per i Lavoratori Anziani ha introdotto il “mentoring inverso” sistematico nelle amministrazioni centrali. In Danimarca, il modello di pensionamento graduale consente ai dipendenti senior di ridurre progressivamente l’orario di lavoro, mantenendo ruoli di consulenza e formazione. In Germania, il programma federale “Demografiefeste Verwaltung” ha sviluppato piani di carriera differenziati per età e sistemi di valutazione delle performance calibrati sulle diverse fasi della vita lavorativa.
Esempi che dimostrano come l’age management non sia un’utopia burocratica, ma una pratica concreta e misurabile.
Da norma a prassi: un percorso possibile
Cosa serve, allora, perché l’articolo 27 diventi pratica quotidiana?
- Radiografia demografica di ogni ufficio: quanti andranno in pensione, con quali competenze critiche.
- Piani di trasferimento del know-how: affiancamento strutturato, comunità di pratica, manuali “viventi” redatti dai senior con l’aiuto di junior digital-native.
- Formazione continua a doppio senso: i giovani condividono skill digitali, i veterani restituiscono processi e cultura organizzativa.
- Flessibilità intelligente: part-time di accompagnamento all’uscita, lavoro agile calibrato su salute e ruolo, ridisegno di mansioni dove il carico fisico è elevato.
- Indicatori di risultato: tassi di assenza, turnover, tempi di addestramento dei neo-assunti, customer satisfaction interna.
Nessuna di queste azioni richiede nuove risorse straordinarie: il contratto indica la rotta, le buone pratiche europee offrono strumenti pronti all’uso, e molte amministrazioni stanno già sperimentando soluzioni analoghe in silos separati. Occorre solo cucire il tutto in un programma organico, mettendo insieme direzioni HR, RSPP, formazione e relazioni sindacali.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica potrebbe svolgere un ruolo cruciale, elaborando linee guida operative e promuovendo progetti pilota in amministrazioni selezionate. E perché non inserire l’implementazione dell’articolo 27 tra gli obiettivi di performance dei dirigenti? Un incentivo concreto a superare l’approccio puramente adempimentale.
Un nuovo inizio
A Maria, intanto, basterebbe sapere che l’ufficio ha un piano: che il suo sapere non andrà smarrito e che la sua esperienza, dal giorno del pensionamento, vivrà in chi oggi inizia. Questo, in fondo, è l’age management: trasformare la fine di una carriera in un nuovo inizio per l’organizzazione. E decidere di farlo prima che il silenzio dei corridoi spenga la memoria dei luoghi.
L’articolo 27 del CCNL Funzioni Centrali non è solo un comma contrattuale da adempiere, ma un’opportunità per ripensare profondamente il modo in cui la PA italiana gestisce il suo capitale umano. In un momento storico di grandi trasformazioni, l’age management potrebbe essere la chiave per traghettare le amministrazioni verso un futuro in cui l’esperienza non è un peso, ma il più prezioso dei patrimoni.
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