Ho letto di recente un articolo di Alfonso Fuggetta che mi ha trovato pienamente d’accordo: le soft skill non sono le nuove hard skill. Una frase semplice, ma che va contro una certa moda che negli ultimi anni si è diffusa soprattutto nei social e nei corsi motivazionali.
Le competenze trasversali — la capacità di comunicare, di lavorare in gruppo, di avere empatia, di gestire i conflitti, di pensare in modo critico e creativo — sono fondamentali. Nessuno lo mette in dubbio. Ma non possono sostituire le competenze tecniche, le cosiddette hard skill.
Nella Pubblica Amministrazione questo concetto è ancora più vero. Pensiamo alle competenze giuridiche, economiche, digitali, amministrative: senza di esse non si può garantire un servizio di qualità ai cittadini. Possiamo avere il dirigente più empatico del mondo, ma se non conosce la normativa sugli appalti difficilmente riuscirà a guidare l’ufficio in modo efficace.
Eppure, quante volte ci accorgiamo che le hard skill da sole non bastano? Un giurista eccellente, se non sa lavorare in squadra, rischia di rallentare i processi. Un tecnico preparato, se non sa comunicare, può rendere incomprensibili le sue soluzioni. È qui che entrano in gioco le soft skill: la barra orizzontale della famosa metafora della “T”, che si integra con la barra verticale delle competenze specialistiche.
Mi viene da pensare ai giovani che oggi entrano nella PA. Portano con sé una naturale propensione alla collaborazione, all’uso delle tecnologie, alla comunicazione digitale. Sono soft skill preziose, che dobbiamo saper valorizzare. Ma nello stesso tempo vanno accompagnati a consolidare le hard skill tipiche della nostra amministrazione, che richiedono studio, esperienza e dedizione.
C’è poi un altro elemento nuovo: l’intelligenza artificiale. Non sostituirà le competenze tecniche, ma le trasformerà. Sapere leggere i dati, capire i limiti degli algoritmi, distinguere tra ciò che può essere automatizzato e ciò che richiede giudizio umano diventerà parte delle hard skill del futuro. E anche qui le soft skill — flessibilità, capacità di adattamento, pensiero critico — saranno decisive.
In conclusione, non serve scegliere tra hard e soft skill. Servono entrambe, integrate e bilanciate. La Pubblica Amministrazione del futuro ha bisogno di dipendenti e dirigenti “a T”: solidi nelle competenze tecniche, ma capaci di aprirsi agli altri e di lavorare in rete. È questa la sfida, e anche l’opportunità, che abbiamo davanti.
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