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AI nella PA: 4 idee per sbloccare il futuro che già c’è

Dirigente giardiniere

La PA ha già il futuro in casa (ma non sempre lo sa)

Mi capita spesso di sentire la solita critica: la Pubblica Amministrazione è lenta, un pachiderma incapace di stare al passo con l’innovazione tecnologica come l’intelligenza artificiale. In parte è vero, ma la realtà che vedo ogni giorno è più complessa e sorprendente. Mentre l’organizzazione fatica a muoversi, le persone che ci lavorano dentro corrono già veloci. Soprattutto i più giovani, i “nativi dell’AI”, usano questi strumenti in autonomia per scrivere bozze, analizzare dati, semplificarsi la vita. Immaginate che, secondo una recente survey di McKinsey, 9 dipendenti su 10 nel vostro ufficio usino l’AI per lavoro, ma solo 1 ente su 10, secondo i suoi stessi dipendenti, venga percepito come un vero innovatore. La differenza, oggi, è la velocità. Il tempo che intercorre tra l’avere un vantaggio competitivo grazie all’AI e il rischiare l’irrilevanza per non averla adottata è drammaticamente più breve rispetto alle passate rivoluzioni tecnologiche. Come possiamo allora sbloccare questa energia nascosta ed evitare che l’innovazione rimanga un fatto privato invece che un patrimonio comune?

I 4 mantra per accelerare sull’AI (prima che sia troppo tardi)

La risposta non sta in piani faraonici calati dall’alto o in complesse strategie pluriennali. La vera accelerazione nasce da un cambio di mentalità e da pratiche quotidiane, ispirate da ciò che funziona nelle organizzazioni più dinamiche. Ecco quattro idee, quattro mantra, da cui partire subito.

Primo: Smettere di fare i “carpentieri”, diventare “giardinieri”

La metafora è semplice ma potente. Il dirigente “carpentiere” è quello che conosciamo bene: pianifica ogni dettaglio della trasformazione dall’alto, disegna l’organigramma perfetto, scrive procedure rigide e si aspetta che tutti le seguano alla lettera. Questo approccio, nell’era dell’AI, è destinato a fallire perché la tecnologia evolve più velocemente di qualsiasi piano.

Il dirigente “giardiniere”, invece, cambia prospettiva. Non cerca di costruire la pianta perfetta, ma osserva il suo terreno. Si chiede: “Dove sta già crescendo qualcosa di interessante? Quali team stanno sperimentando in modo nuovo ed efficace?”. Il suo compito è individuare questi germogli di innovazione spontanea, nutrirli, dargli luce e risorse, e aiutarli a crescere e diffondersi in tutta l’organizzazione.

Pensate a un ente che scopre che i suoi analisti, informalmente, usano già strumenti AI per automatizzare la data entry. L’approccio da “giardiniere” non è bloccarli per motivi di governance, ma studiare il loro metodo, renderlo sicuro e poi offrirlo come strumento a tutti i colleghi, dimezzando i tempi di lavorazione delle pratiche.

Mini-analisi manageriale: Questo approccio sposta il ruolo del manager dal controllo alla facilitazione. L’obiettivo non è più scrivere il piano perfetto, ma creare le condizioni perché le buone idee emergano e si diffondano. Si tratta di accettare che le soluzioni migliori spesso non nascono nelle stanze della dirigenza, ma dalla creatività di chi affronta i problemi ogni giorno.

I leader che cercano di specificare precisamente come l’AI dovrebbe essere implementata in tutta la loro organizzazione si trovano spesso a costruire le soluzioni di ieri per i problemi di domani.

Azione concreta: Cosa fare domani in ufficio? Chiedere al proprio team: “Chi di voi sta già usando qualche strumento di AI? Fatemi vedere cosa fate e cosa avete imparato”.

Secondo: Premiare la curiosità, non solo l’esecuzione

Il più grande freno al cambiamento, lo sappiamo, è la resistenza dei quadri intermedi. Spesso non è malafede, ma una reazione umana: le abitudini sono consolidate, i metodi attuali “funzionano abbastanza bene” e imparare cose nuove è una fatica. Per superare questa inerzia, gli incentivi sono fondamentali, ma non solo quelli economici.

Gli incentivi più efficaci non premiano il semplice “uso” di uno strumento imposto dall’alto. Premiano l’apprendimento: chi dimostra di aver acquisito una nuova competenza, chi condivide una scoperta utile con i colleghi, chi aiuta gli altri a superare una difficoltà. Il riconoscimento sociale, a volte, è più potente di un bonus in busta paga.

Quando leader rispettati condividono il loro percorso di apprendimento sull’AI e riconoscono pubblicamente che stanno ancora imparando, abbattono le barriere psicologiche per tutti gli altri.

Mini-analisi manageriale: Questo ha un impatto diretto sulla valutazione della performance. Un dirigente illuminato inserisce tra gli obiettivi dei suoi collaboratori non solo il raggiungimento di target quantitativi, ma anche la sperimentazione, l’apprendimento e la condivisione delle conoscenze. Valorizzare (premiare) la curiosità significa renderla parte integrante del lavoro. Trovo questo aspetto fondamentale.

Azione concreta: Cosa fare domani in ufficio? Durante una riunione, riconoscere pubblicamente il merito di un collega che ha sperimentato un nuovo tool e ha mostrato agli altri come usarlo per risolvere un piccolo problema. E nel lungo periodo? Istituire una “giornata dell’innovazione” trimestrale in cui i team sono liberi di esplorare idee fuori dai progetti correnti, presentando poi le scoperte più promettenti.

Terzo: Lanciare esperimenti piccoli per imparare in fretta (anche dagli errori)

“Sperimentare” nella PA è una parola che fa paura, spesso associata a spreco di risorse. Dobbiamo ribaltare questa percezione: sperimentare in modo intelligente è il modo migliore per evitare sprechi, per facilitare gli investimenti futuri. Non si tratta di “sperimentare di più”, ma di “sperimentare meglio”, seguendo alcuni principi chiave:

Un esempio celebre viene da fuori la pubblica amministrazione, ma è illuminante: i primi tentativi di Amazon con lo streaming video furono un insuccesso. Invece di cancellare il progetto, si chiesero perché non funzionava. Scoprirono che i clienti non percepivano valore in un servizio a sé stante. La lezione appresa portò a integrare Prime Video nell’abbonamento Prime e a investire in contenuti originali, trasformando un fallimento pilota in un pilastro strategico. Questo è il valore dell’imparare dagli errori.

Mini-analisi manageriale: Il vero valore di un progetto pilota non è il risultato che ottiene in sé, ma la conoscenza istituzionale che genera per tutta l’organizzazione. Ogni esperimento, riuscito o fallito, deve diventare un patrimonio comune che accelera l’apprendimento di tutti.

Azione concreta: Cosa fare domani in ufficio? Individuare un’attività manuale e ripetitiva. Formare un team di 3-4 persone e dare loro due settimane per testare uno strumento di AI con l’obiettivo di scrivere un report di una pagina su cosa ha funzionato, cosa no e perché.

Alzare l’asticella: celebrare l’eccellenza, non il “teatro dell’innovazione”

Nell’entusiasmo di promuovere il nuovo, c’è un rischio: cadere nel “teatro dell’innovazione”, dove ogni piccolo esperimento viene lodato in modo iperbolico e le idee davvero rivoluzionarie si perdono nel rumore di fondo di iniziative di facciata. Dobbiamo imparare a distinguere tra “esperimenti interessanti” e “innovazioni che cambiano le regole del gioco”.

Questo significa premiare l’onestà intellettuale tanto quanto il successo. Un team che riporta con lucidità le ragioni di un fallimento merita lo stesso riconoscimento di uno che porta un risultato positivo. Per farlo, basta cambiare le domande che poniamo: non “Come va il progetto AI?”, ma “Cosa hai imparato che ti ha sorpreso?”. Non celebriamo il fatto che qualcuno ha usato l’AI, ma l’intuizione che è emersa dal suo utilizzo.

Mini-analisi manageriale: Questo approccio combatte la “teoria degli alibi”. Un dirigente responsabile non si limita a incoraggiare, ma chiede conto dei risultati. Come quel CEO che ha chiesto a 100 suoi manager di sponsorizzare un progetto AI, a patto che l’obiettivo di risultato (più entrate, meno costi) fosse inserito nero su bianco nel budget dell’anno successivo. Questo sposta il focus dalle belle presentazioni ai risultati misurabili. In fondo, burocrati non si nasce, si diventa. E una cultura che incoraggia l’apprendimento e non ha paura di sbagliare è il miglior antidoto contro la sclerosi burocratica.

Azione concreta: Cosa fare domani in ufficio? Nel prossimo aggiornamento su un progetto, chiedere al responsabile di condividere non solo i progressi, ma anche la lezione più importante imparata da un intoppo.

Il futuro è già qui. Siamo pronti a distribuirlo?

La vera sfida per accelerare sull’intelligenza artificiale non dipende dalla tecnologia, che è già disponibile e accessibile. Dipende dalla nostra capacità, come organizzazione, di imparare più velocemente. Come ha detto lo scrittore William Gibson, “il futuro è già qui, solo che non è distribuito in modo uniforme”. Il nostro compito, nella PA, è proprio questo: distribuirlo, renderlo accessibile a tutti, far sì che l’innovazione di pochi diventi la pratica di molti.

Qual è il primo piccolo esperimento che potreste lanciare nel vostro ufficio?

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