Era una mattina grigia di novembre, una giornata uggiosa per dirla alla Lucio Battisti, Marco si avviava verso la questura con un passo deciso ma un po’ riluttante. La nebbia mattutina avvolgeva le strade di Roma con un velo di mistero, quasi a presagire l’insolita avventura che stava per intraprendere. Aveva con sé tutti i documenti necessari, sistemati con cura in una cartellina di plastica trasparente. Doveva rinnovare il passaporto.  Tuttavia, nonostante la sua accurata preparazione, una sensazione di inquietudine gli serpeggiava nello stomaco, un presagio che qualcosa di insolito stava per accadere. Ricordava di aver già avuto problemi con un viaggio all’estero, quasi rovinato da un disguido burocratico per un visto che era stato emesso tardi e con un errore.

Entrando nella questura, fu accolto da un silenzio opprimente, interrotto solo dal rumore di una vecchia stampante, sicuramente non laser, proveniente da qualche ufficio nascosto. L’aria era permeata da un odore di vecchi documenti misto a quello di caffè fatto con la moka, e le luci al neon sul soffitto emettevano un debole bagliore che mal riusciva a illuminare l’ambiente. Marco si avvicinò allo sportello, notando come l’impiegato dietro il vetro sembrava far parte del mobilio: un uomo di mezza età, con occhiali spessi e una camicia che sembrava aver visto giorni migliori.

«Buongiorno, sono qui per rinnovare il passaporto,» disse Marco, cercando di mantenere un tono cordiale.

L’impiegato lo fissò con uno sguardo che sapeva di disinteresse e burocrazia, prima di rispondere con una voce monotona: «Documenti.»

Marco passò la cartellina attraverso lo sportello. L’uomo iniziò a sfogliare i documenti con lentezza esasperante, fermandosi ogni tanto per lanciare uno sguardo scrutatore verso Marco, come se cercasse di scovare qualche incongruenza nei suoi tratti.

Dopo quello che sembrò un’eternità, l’impiegato sollevò lo sguardo e, con una voce priva di emozione, disse: «C’è un problema. Secondo il nostro sistema, lei non esiste.»

Le parole colpirono Marco come un pugno nello stomaco. Tutto si aspettava, meno quello che aveva appena sentito. «Come scusi?» balbettò, sentendo il cuore iniziare a battere all’impazzata.

«Non esiste nessuno con il suo nome e le sue generalità nei nostri archivi. Mi dispiace, ma senza un riscontro della sua esistenza, non possiamo procedere con il rinnovo del passaporto.»

Marco sentì il mondo girare intorno a lui. Non esisteva? Come poteva essere possibile? Aveva vissuto in quella città per tutta la vita, aveva amici, una famiglia, un lavoro. Come poteva semplicemente non esistere?

«Deve esserci un errore,» insistette, cercando di mantenere la calma. «Ho il passaporto vecchio qui con me, ci sono dentro tutti i timbri dei viaggi che ho fatto. Deve esserci un modo per risolvere questo… questo malinteso.»

L’impiegato, con un sospiro di fastidio, lo guardò di nuovo. «Le suggerisco di fare un giro negli uffici dell’anagrafe. Forse potranno aiutarla a… riapparire nel sistema. Ma, le dico subito, non sarà facile.»

Marco prese la cartellina con i suoi documenti, ora simbolo di una battaglia burocratica che non aveva mai immaginato di dover combattere. Uscendo dalla questura si pizzicò sul braccio sperando che fosse tutto un sogno e quando capì che era realtà si promise che avrebbe fatto tutto il necessario per dimostrare la sua esistenza, senza sapere che quella sarebbe stata solo la prima di molte strane avventure nel labirinto della fantaburocrazia.

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Una risposta a “Capitolo 1: Una Storia di ordinaria fantaburocrazia.”

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