1. Introduzione

Nel mio blog ho avuto il piacere di accogliere i contributi del professor Guido Melis, un esperto storico della pubblica amministrazione. Sono fermamente convinto che per comprendere il futuro della pubblica amministrazione sia fondamentale esplorare e narrare il suo passato (Per guardare il futuro va riscoperto il passato). Ciò implica parlare delle personalità che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della nostra amministrazione pubblica.

Il professor Melis eccelle nel raccontare queste storie, ed oggi vi presento il suo racconto di Gino Giugni, un illustre genovese nato nel 1927 e deceduto nel 2009, che ha segnato profondamente il campo del diritto del lavoro italiano nel dopoguerra.

2. Gino Giugni

Gino Giugni (1927-2009), genovese, studi giovanili negli Stati Uniti, fu uno dei migliori e più innovativi studiosi italiani di diritto del lavoro del dopoguerra. Formatosi prima in ambito Cisl, poi in quella vera e propria pépinière che era negli anni Cinquanta e Sessanta il gruppo bolognese del Mulino, quindi passato per poco tempo nell’Eni di Mattei, poi all’Iri, si orientò ben presto verso una scelta politica socialista-riformista. Intanto nel 1962 vinceva il concorso a cattedra e in seguito avrebbe insegnato nelle università di Bari (1960-74) e poi di Roma, collaborando intensamente a tutte le esperienze più avanzate della cultura giuridica delle riforme negli anni Settanta e Ottanta. Fu tra l’altro membro del Cnel, consulente giuridico del ministro del Lavoro Brodolini (e come tale partecipe del progetto dello Statuto dei lavoratori: ma continuò a collaborare in quel dicastero con altri ministri anche dopo la scomparsa dell’ideatore dello Statuto). Fu senatore della Repubblica (1983-1994) e deputato (1994-1996) e ministro del Lavoro nel governo Ciampi dal 29 aprile 1993 all’11 maggio 1994.

Il brano che segue, tratto dalle sue memorie, riguarda appunto il suo debutto (tardivo peraltro) in questa nuova, impegnativa responsabilità. Diventare ministro rappresentò quasi il coronamento di un sogno. 

3. Brano tratto dalle memorie di Gino Giugni

Nel fondo del mio animo covava da sempre questo desiderio inespresso, in qualche modo condizionato dalla mia vocazione universitaria che mi conduceva sul terreno istituzionale. Fin dagli anni giovanili immaginavo di scrivere i discorsi dei ministri e di fare le leggi (…). Riuscii a prendere possesso del mio ufficio grazie ad un usciere molto comprensivo, addirittura il 1° maggio. Un giovane dirigente del ministero, Ubaldo Poti, mi aiutò nell’approccio con un ambiente che nel passato avevo ben conosciuto, ma che avevo lasciato ormai da vent’anni. Per prima cosa organizzai la mia segreteria e l’ufficio relazioni pubbliche. Lavoravano con me l’onnipresente Mariangela, che teneva i rapporti con la stampa e che si può considerare la mia vera memoria, e Chiara Moriconi, capo-segreteria, che aveva lasciato il vertice della Uil-chimici. Completavano lo staff di quello che venne definito “il ministero rosa” Giampiera Giandomenico e Lilia Zoppi, già collaboratrice di Brodolini. Ero circondato da esponenti del gentil sesso: non male per uno che in gioventù aveva espresso dubbi sull’opportunità di allargare il suffragio alle donne. Durante la permanenza al ministero, affiancato dal mio capo di gabinetto  Massimo Massella Ducci Teri e dal mio capo dell’ufficio legislativo Francesco Tomasone, fui completamente assorbito dal lavoro (…). Incontravo spesso soprattutto i direttori generali, alla cui nomina avevo contribuito non senza commettere qualche errore. Mi stupiva molto l’atmosfera che si respirava durante le riunioni, spesso i direttori si scambiavano sguardi ostili di cui mi sfuggiva il significato, era come se nascondessero una realtà ministeriale complessa, ambigua e piena di rivalità. Quando uscivamo dalla stanza, quasi c’era bisogno di bonificare il territorio dai veleni.

4. Conclusioni

Dalle parole del protagonista delle memorie, mi ha colpito particolarmente questo passaggio: “Mi capitava spesso di incontrare i dirigenti generali, di cui avevo contribuito alla nomina, non senza qualche errore commesso. Mi sorprendeva molto l’atmosfera che si respirava durante le riunioni, dove i direttori si scambiavano sguardi ostili di cui non riuscivo a comprendere il significato. Sembrava che nascondessero una realtà ministeriale complessa, ambigua e piena di rivalità. Uscendo dalla stanza, sembrava quasi necessario purificare l’ambiente dai veleni.” Questo racconto vivo ed evocativo mette in luce un’atmosfera di tensione, rivalità e segreti che, sorprendentemente, risuona ancora oggi in molti contesti burocratici, soprattutto ministeriali. La straordinaria capacità di Giugni di percepire e descrivere queste dinamiche ci fa riflettere su quanto poco sia effettivamente cambiato nel tempo il clima oppressivo che caratterizza i corridoi del potere e su quanto sia urgente e fondamentale continuare a lavorare per una pubblica amministrazione più giovane, trasparente ed efficiente.

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