Pubblica Amministrazione, la riforma in mano agli enti

(Raffaella Saporito, Antonio Naddeo)

Non diremo ancora una volta, anche in questo spazio, quanto è trasformativo e potenzialmente generativo il momento che il pubblico impiego vive, tra riapertura dei concorsi, rinnovi contrattuali e nuovi investimenti nel capitale umano. Né ripeteremo che non occorrono ulteriori riforme. Su entrambe le affermazioni il consenso è unanime.

Cosa, allora, resta da fare?

Occorre sfruttare le opportunità create dalle più recenti riforme, dai nuovi contratti e – finché dura – dalla disponibilità ad investire sulle persone della PA, senza perdere tempo e senza perdere l’occasione storica. Questa è una sfida degli enti, dei loro vertici gestionali, dei loro direttori del personale.

Le recenti riforme hanno rinnovato gli strumenti per realizzare concorsi che, se applicati con competenza, sono già un pezzo della soluzione per attrarre anche profili nuovi rispetto alla platea (sempre più asfittica) di chi pensa di fare un concorso pubblico (tradizionalmente i giuristi). Inoltre, i nuovi contratti, tolta la parte più adempimentale, mettono a disposizione degli enti nuovi strumenti per rilanciare le politiche delle risorse umane.

Gli spazi di innovazione sono ampi: da un lato la riprogettazione dei modelli organizzativi a partire dal disegno dei nuovi profili e dalla possibilità di usare la pianificazione dei fabbisogni di personale per cambiare il mix di ruoli e competenze, fino alla regolamentazione del lavoro agile e altre forme di flessibilità del lavoro; dall’altro la possibilità di rilanciare la contrattazione integrativa per stabilire criteri e modelli di gestione delle progressioni e delle carriere retributive.

Qualcuno dice che forse è addirittura troppo: saranno gli enti in grado di cogliere con sapienza le opportunità messe in campo? Certo la sfida non è banale e non c’è da stupirsi se qualcuno avrà da rimpiangere i tempi in cui non si poteva fare niente, per via delle mani legate dalle norme e dalla scarsità di risorse. Ma la posta il gioco è troppo alta per non mettere in campo ogni sforzo per cambiare, ente per ente, il presente e il futuro dell’impiego pubblico.

Come? L’esperienza e la letteratura ci mettono in guarda da tre grossi rischi, da considerare con attenzione, in questa delicata, ma anche energizzante fase che vivono le direzioni delle risorse umane nella pubblica amministrazione.

Il primo riguarda la necessità di presidiare con fermezza il confine, spesso ignorato, tra materie oggetto di contrattazione e quelle oggetto di organizzazione. Lavorare con (e non contro) i lavoratori, anche nella PA, è un metodo che paga sempre. Ma questo non deve diventare l’alibi per sottrarsi alla responsabilità di organizzare il lavoro, anche nel pubblico, con professionalità e visione. Una pubblica amministrazione che non sa incarnare la parte datoriale, assumendosi la sua dose di responsabilità, è un danno anche per i lavoratori, che finiscono col perdere di vista che il senso del loro lavoro non può esaurirsi nella soddisfazione dei loro bisogni in quanto dipendenti, ma trova il suo fine ultimo nella soddisfazione dei bisogni della collettività.

Il secondo riguarda la strategia negoziale in sede di contrattazione integrativa: non si affronta una trattativa senza una chiara idea di quali sono tutte le alternative comprese tra la soluzione ideale, su cui non bisogna temere di essere troppo ambiziosi, e il proprio BATNA (Best Alternative to a Negotiated Agreement) ovvero la piattaforma minima sotto la quale non c’è accordo. Se si parte già al ribasso non si sta risparmiando tempo: si sta facendo un pessimo servizio al proprio ente e ai cittadini.

Terzo, per costruire un modello di organizzazione e una proposta di contratto ambiziosi e solidi, occorre avere una visione chiara delle sfide strategiche che l’ente è chiamato ad affrontare nel suo presente e, soprattutto, nel suo futuro: superare la logica dell’adempimento non significa affastellare innovazioni, ma collegare ogni scelta ad una visione sistemica e prospettica. Definire la strategia non significa solo guardare alle linee di mandato o all’atto di indirizzo della politica, ma leggere e interpretare le sfide del futuro: come cambieranno i bisogni, i modelli di produzione dei servizi nella relazione col mercato, il ruolo giocato dalla tecnologia? E quali modelli organizzativi sono coerenti coi nuovi scenari?

Questa è una sfida per i territori, per i singoli enti e, certo, è tutta in salita laddove la capacità amministrativa è più fragile. Ma questo è anche il tempo di grandi investimenti, in tecnologia, accompagnamento e formazione, per accelerare il cambiamento e non perdere l’occasione. E il fatto che al timone di questi stessi investimenti ci sia sì un politico (Ministro Zangrillo), ma anche un direttore delle risorse umane, può essere un grande punto di forza per questa nuova fase.


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3 risposte a “Pubblica Amministrazione, la riforma in mano agli enti”

  1. Avatar Gian Candido De Martin
    Gian Candido De Martin

    Complimenti, caro Antonio, per l’equilibrio e la lungimiranza con cui stai gestendo l‘Aran, consolidando e valorizzando un’esperienza ormai quasi trentennale! Un saluto cordiale,
    Gian Candido

    1. Cari Gian Candido, detto da te mi fa un enorme piacere. Un caro saluto

  2. Riprogettazione dei modelli organizzativi rimodulando nuovi profili, mix di ruoli e competenze nell’ambito dei piani dei fabbisogni o comunque del PIAO, fino alla regolamentazione delle diverse forme di flessibilità del lavoro; poi rilanciare la contrattazione integrativa per stabilire criteri e modelli di gestione delle progressioni e delle carriere retributive. La mano innovativa del Presidente dell’ARAN si vede e si sente. Una buona strada per sostenere la motivazione e la partecipazione delle persone all’azione delle amministrazioni, unitamente alla percezione del miglior ruolo nell’organizzazione.

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