Intervento al Webinar organizzato dall’Osservatorio AI4PA del 20 ottobre 2025
Sapete, quando l’amico Scognamiglio mi ha chiesto di parlare della Legge 132/25 sull’intelligenza artificiale, la prima cosa che mi è venuta in mente non è stata una norma o un articolo di legge. Mi è venuto in mente il volto di un dirigente (diciamo senior) che ho incontrato qualche settimana fa, preoccupatissimo. Mi ha detto: “Antonio, ma l’intelligenza artificiale ci sostituirà? Cosa dirò ai miei collaboratori?”
Ecco, partiamo da qui. Questa legge, entrata in vigore un paio di settimane fa, non parla solo di tecnologia. Parla di persone. Di noi. Del nostro lavoro. Delle nostre paure, ma anche delle nostre opportunità.
Oggi vorrei condividere una prospettiva diversa da quella tecnico-giuridica che sentirete dagli altri importanti relatori. Vorrei parlare di come questa legge impatterà concretamente su chi lavora nella PA, su chi la dirige, e su come cambieranno i contratti collettivi e le relazioni sindacali. Almeno come lo immagino io.
La prima buona notizia: L’IA non ci sostituisce (o non ci sostituirà)
Allora, la prima cosa da dire forte e chiara è questa: la Legge 132/25 stabilisce un principio fondamentale. L’intelligenza artificiale deve essere uno strumento di supporto. Punto. Non di sostituzione. La decisione finale deve sempre, sempre, restare in capo a una persona.
E questo non è un dettaglio tecnico, è una scelta di civiltà. Pensateci: in un’epoca in cui sentiamo parlare di algoritmi che prendono decisioni, di automazione che sostituisce l’uomo, il legislatore italiano ha detto: “No, fermi tutti. Nella pubblica amministrazione l’ultima parola la dice l’essere umano.”
Cosa significa concretamente? Vi faccio un esempio pratico. Mettiamo che un algoritmo analizzi una pratica e suggerisca di respingere una domanda. Bene, quel suggerimento non vale nulla finché un funzionario, con la sua testa, con la sua esperienza, con la sua responsabilità, non lo verifica, lo valuta e decide. E se decide diversamente, può farlo. Anzi, deve poterlo fare.
Vedete, io sul mio blog scrivo da anni che la vera sfida della PA moderna è mettere le persone al centro. E l’intelligenza artificiale, se la governiamo bene, può aiutarci proprio in questo. Come? Liberandoci da quelle attività ripetitive, noiose, burocratiche che ci portano via tempo ed energie. Così possiamo concentrarci su ciò che davvero conta: il servizio ai cittadini, alle imprese, l’analisi critica, la relazione umana. Tutte cose che nessun algoritmo potrà mai fare al posto nostro.
Ma Serve Formazione. Tanta Formazione.
Però attenzione, qui arriva il punto cruciale. La legge dice che il datore di lavoro pubblico deve informare i lavoratori quando introduce sistemi di intelligenza artificiale. Deve informarli prima, non dopo. Bene, giusto. Ma secondo me informare non basta.
Facciamo un esperimento mentale. Immaginate che domani mattina arrivi nella vostra amministrazione un nuovo sistema di IA. Vi fanno una riunione, vi dicono “da domani usiamo questo”, vi danno un manuale di 200 pagine. Fine. Secondo voi funziona? No, ovviamente. Perché non si tratta solo di imparare a usare uno strumento, come quando abbiamo imparato a usare Excel o la PEC.
Qui parliamo di capire come ragiona un algoritmo. Di riconoscere quando ci sta dando un suggerimento sensato e quando invece sta facendo una cavolata. Di sapere quali sono i suoi limiti, dove può sbagliare, dove può essere discriminatorio.
Qui parliamo di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale. E deve diventare una competenza di base per tutti, proprio come saper usare il computer. Non sto parlando di trasformare tutti in ingegneri informatici, sia chiaro. Parlo di dare a ognuno gli strumenti per lavorare con l’IA in modo critico e consapevole.
E qui entra in gioco la contrattazione collettiva. Nei prossimi rinnovi dei contratti nazionali dovremo prevedere percorsi formativi dedicati, ma soprattutto seri. Non il classico corso online di due ore che fai mentre pensi ad altro. Parlo di formazione vera, continuativa, perché la tecnologia corre veloce e non possiamo restare indietro.
Il Sindacato Non Può Restare Fuori
Veniamo a un altro tema che mi sta particolarmente a cuore, vista la mia esperienza in ARAN. Le relazioni sindacali. Perché vedete, l’intelligenza artificiale non è solo una questione tecnica o organizzativa. È una questione che impatta profondamente sul lavoro delle persone.
La legge prevede la creazione di un Osservatorio sull’IA e il lavoro presso il Ministero del Lavoro. Bene. Ma secondo me serve fare di più. E serve farlo nella sede naturale dove si discute di lavoro nella PA: la contrattazione collettiva.
Pensate a questo scenario. Un’amministrazione decide di usare un algoritmo per valutare le performance dei dipendenti. Niente di vietato, per carità. Ma i criteri li conosce solo l’algoritmo? I lavoratori sanno su cosa vengono valutati? I sindacati sono stati consultati?Vedete, qui non stiamo parlando di fantascienza, stiamo parlando di cose che stanno già accadendo in alcune realtà.
Per questo nei prossimi contratti nazionali dobbiamo inserire clausole chiare. Le organizzazioni sindacali devono essere informate prima che si introducano sistemi di IA. Deve esserci un confronto vero sugli impatti organizzativi. I lavoratori devono sapere se e come l’IA viene usata per decisioni che li riguardano.
E poi c’è il tema della trasparenza. Un conto è dire “usiamo un algoritmo”, un conto è spiegare come funziona, quali dati usa, quali criteri applica. Soprattutto quando parliamo di valutazione delle performance o di progressioni di carriera. Lì la trasparenza non è un optional, è un diritto.
Privacy: non è burocrazia, è fiducia
Ora parliamo di un tema che spesso viene visto come un fastidio burocratico: la privacy. La legge chiede alle amministrazioni di mappare i sistemi di IA che usano, di classificare i rischi, di aggiornare le informative. E già sento qualcuno che pensa: “Ecco, un altro adempimento, un’altra scartoffia da compilare.”
No, fermiamoci un attimo. Qui non stiamo parlando di burocrazia fine a se stessa. Stiamo parlando di costruire fiducia. Pensate a voi stessi come dipendenti. Non vorreste sapere quali dati raccoglie su di voi l’amministrazione per cui lavorate? Come vengono usati? Chi ci può accedere? Se ci sono algoritmi che prendono decisioni sulla vostra carriera?
La risposta è ovvia. Certo che lo vorreste sapere. Anzi, avete il diritto di saperlo. E un’amministrazione moderna, che vuole davvero mettere le persone al centro, deve essere trasparente su questi temi.
Per questo la legge prevede che ci sia un Data Protection Officer, il responsabile della protezione dei dati. Ma secondo me serve anche un’altra figura: un Referente IA, qualcuno che faccia da ponte tra chi capisce la tecnologia, chi conosce le norme e chi gestisce le persone.
Perché vedete, la privacy non è un ostacolo all’innovazione. È esattamente il contrario: è la precondizione perché l’innovazione sia accettata dalle persone. Se i dipendenti si fidano, se sanno che i loro dati sono protetti, se capiscono come funzionano i sistemi, allora l’innovazione funziona. Altrimenti no.
Servono leader, non burocrati
E qui arriviamo al cuore del problema. Perché vedete, tutte le norme del mondo, tutti gli algoritmi più sofisticati, non servono a nulla se non cambiamo il modo di pensare. Se non cambiamo cultura.
Sul mio blog ho scritto spesso di questo. Ho scritto un articolo che si intitolava “Leader o Burocrati? La PA alla Prova dell’Intelligenza Artificiale”. E la mia risposta è chiarissima: servono leader. Servono dirigenti pubblici che non si limitino a gestire l’esistente, ma che abbiano una visione, che sappiano dove vogliono portare la loro organizzazione.
Cosa significa essere leader nell’era dell’intelligenza artificiale? Significa diverse cose.
Prima di tutto, serve visione strategica. Non introduciamo l’IA perché è di moda o perché lo fanno tutti. La introduciamo dove serve davvero, dove può migliorare il servizio ai cittadini, dove può rendere più efficiente il nostro lavoro.
Poi serve coraggio. Perché l’innovazione fa sempre un po’ paura. I collaboratori hanno dubbi, le organizzazioni sindacali sollevano problemi, i cittadini sono diffidenti. Un leader deve saper dire: “Capisco le vostre preoccupazioni, affrontiamole insieme, ma andiamo avanti.”
Serve empatia. Accompagnare le persone nel cambiamento non è facile. C’è chi si entusiasma subito, chi ha bisogno di tempo, chi ha proprio paura. Un leader deve saper stare vicino a tutti, nessuno escluso.
E infine serve responsabilità. L’algoritmo non decide, decide il leader. L’algoritmo suggerisce, il leader sceglie. E se qualcosa va storto, non possiamo dare la colpa all’algoritmo. La responsabilità è sempre umana.
Cinque Cose Concrete da Fare Subito
Bene, dopo tutta questa analisi, la domanda è: cosa facciamo concretamente? Quali sono le azioni prioritarie per implementare davvero l’IA nella PA in modo corretto ed efficace? Vi dico cinque cose che secondo me vanno fatte subito, partendo da domani mattina.
Prima cosa: ogni amministrazione deve fare una mappatura seria dei sistemi di IA che già usa. E vi assicuro che molte amministrazioni usano già l’IA senza saperlo – magari in sistemi di protocollo automatico, in chatbot, in analisi predittive. Serve sapere cosa c’è, come funziona, quali rischi comporta. Non è un esercizio burocratico, è capire cosa abbiamo in casa.
Seconda cosa: serve formare subito il personale, a tutti i livelli. Non aspettiamo i grandi piani nazionali. Ogni amministrazione può iniziare da subito con percorsi base per tutti: cos’è l’IA, come funziona, quali sono i rischi, come usarla in modo critico. E poi formazione specialistica per chi deve gestire direttamente questi sistemi. La formazione non è un costo, è un investimento.
Terza cosa: dobbiamo creare presidi organizzativi chiari. Chi si occupa di IA nella nostra amministrazione? Il Responsabile della Transizione Digitale? Il DPO? Serve qualcuno? Serve un gruppo di lavoro? Non possiamo andare avanti senza avere ruoli e responsabilità definiti. L’IA non può essere “una cosa di cui si occupa l’informatico quando ha tempo”.
Quarta cosa: trasparenza verso i dipendenti e verso i cittadini. Se usiamo l’IA, dobbiamo dirlo. Dobbiamo spiegare come funziona, per cosa la usiamo, quali garanzie ci sono. Serve pubblicare questa informazione sui siti istituzionali, serve metterla nelle informative privacy, serve parlarne nelle riunioni con il personale. La trasparenza genera fiducia, l’opacità genera resistenza.
Quinta cosa: sperimentare, ma con metodo. Non dobbiamo aver paura di provare cose nuove. Ma proviamole bene: definiamo obiettivi chiari, misuriamo i risultati, valutiamo gli impatti, correggiamo il tiro. E soprattutto: condividiamo le esperienze. Se un Comune ha trovato un buon modo di usare l’IA per i servizi demografici, perché non deve saperlo anche il Comune accanto? Creiamo reti, scambiamoci know-how.
Queste non sono cose che richiedono leggi o finanziamenti straordinari. Sono cose che possiamo e dobbiamo fare subito, con le risorse che abbiamo. Perché il tempo delle analisi è finito, ora serve l’azione.
Per Concludere
Allora, ricapitoliamo perché so che vi ho detto tante cose. La Legge 132/25 è un punto di partenza, non di arrivo. Apre una nuova stagione per la Pubblica Amministrazione italiana.
L’intelligenza artificiale è davvero un’opportunità straordinaria. Ma solo – e sottolineo solo – se riusciamo a tenere fermi tre punti:
Primo: le persone vengono prima di tutto. Con i loro diritti, le loro competenze, la loro dignità. L’IA ci deve aiutare, non sostituire. E quando dico persone, intendo sia i dipendenti pubblici che i cittadini che servono.
Secondo: la trasparenza non è negoziabile. Niente scatole nere, niente algoritmi misteriosi. Se usiamo l’IA, dobbiamo spiegare come funziona, cosa fa, perché lo fa. È l’unico antidoto contro opacità e discriminazioni.
Terzo: la responsabilità resta sempre umana. Sempre. Quando qualcosa va storto, non possiamo dire “è stato l’algoritmo”. No, la responsabilità è di chi ha deciso di usare quell’algoritmo, di chi avrebbe dovuto controllarlo, di chi ha preso la decisione finale.
Se teniamo fermi questi tre punti, allora sì che l’intelligenza artificiale può davvero cambiare in meglio la nostra PA.
La sfida è grande, non lo nego. Ma grande è anche l’opportunità. Costruiamo insieme – e dico insieme: istituzioni, sindacati, lavoratori, cittadini – una Pubblica Amministrazione aumentata dall’intelligenza artificiale, ma sempre guidata dall’intelligenza umana.
Grazie per l’attenzione. E grazie soprattutto per il lavoro che fate ogni giorno. Perché senza di voi, senza il vostro impegno, tutte le leggi e tutti gli algoritmi del mondo non servirebbero a nulla.
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