Ho letto qualche giorno fa un interessante articolo del prof. Guido Melis (storia delle istituzioni politiche), che mi ha fatto molto riflettere. Egli mette in fila le numerose riforme della pubblica amministrazione partendo dalla Grande Guerra, passando per il fascismo, e poi tutte quelle che si sono susseguite dal dopoguerra fino ai giorni nostri.
Commissioni, gruppo di lavoro, studi approfonditi, nel 1950 addirittura si istituì un ufficio per la riforma burocratica. E poi uffici per la semplificazione, privatizzazione del rapporto di lavoro, trasparenza ecc. Questa storia raccontata da Melis, la potremmo chiamare “L’eterna lotta tra riformatori e burocrazia” .

La cosa che mi ha più colpito e che mi trova completamente d’accordo, è che le riforme (e i tanti studi) sono rimaste per molti aspetti sulla carta.
Nessuna riforma, questo si può affermare con certezza, è stata mai portata a compimento fino in fondo.
Melis ricorda solo tre leggi che hanno prodotto veri cambiamenti: la legge sulla dirigenza pubblica del 1972, l’attuazione nel 1975 delle regioni a statuto ordinario e la contrattualizzazione del pubblico impiego nel 93.
Aggiungerei a questo elenco altre due leggi del decennio ‘90: la legge la legge 142 sull’ordinamento dei comuni e delle province, nella quale si affermava la distinzione funzionale tra politica ed amministrazione (ribadita poi nel D.L.gvo 20/93), e la legge 241 sul procedimento amministrativo, che introduceva la figura del responsabile del procedimento cui il cittadino si sarebbe potuto rivolgere per ogni questione ad esso attinente.
La privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego e i successivi decreti correttivi di Bassanini, rappresentarono una vera e propria rivoluzione nel pubblico impiego e nelle amministrazioni (anche se è stata la legge su cui hanno agito con molte modifiche le successive riforme).
In quegli anni si era capito che non si poteva più avere un PA impostata su rigide regole amministrative burocratiche, ma occorreva operare con criteri di efficienza (migliore qualità dei servizi con minori costi).
Ma c’era anche un altro “grosso” problema: la questione del risanamento dei conti pubblici. Questo aspetto non solo non fu risolto, ma si acuì negli anni successivi.
Tra i due criteri, migliore qualità dei servizi e minori costi, le riforme successive hanno scelto soprattutto il criterio di minori costi. Le famose riforme a costo zero.
Questo secondo me è uno dei motivi delle tante riforme che non hanno portato ai risultati voluti. Senza risorse finanziarie, senza investimenti, è difficile migliorare la macchina amministrativa.

Melis giustamente si chiede quale è la riforma possibile.
“Bisognerebbe, per agire, essere consapevoli di due elementi: ci vuole un disegno chiaro e coerente, che sviluppi la riforma passo per passo, anche correggendone se sarà il caso gli errori man mano che si procede; e poi occorre tempo a disposizione, per dipanare un’azione costante, lineare, che prosegua da un Governo all’altro e da una legislatura alla successiva senza interrompersi a ogni cambio di ministro”
La risposta di Melis è giusta, il problema è che sono due condizioni quasi impossibili per come funziona la politica nel nostro Paese.
Mediamente abbiamo un governo ogni 1,5 anni (negli ultimi 30 anni abbiamo avuto 20 governi), quindi un presidente del Consiglio dei Ministri ogni 1,5 anni e un ministro della pubblica amministrazione ogni 1,5 anni.
Per scrivere una riforma e farla approvare in Parlamento ci vuole minimo un anno perciò chi la fa non ha più il tempo di attuarla.
È vero Melis propone che ci debba essere un passaggio di consegne tra un Governo e l’altro al fine di proseguire l’azione riformatrice, ma questo, almeno fino ad oggi non è mai avvenuto. Anzi di solito è avvenuto il contrario.
Perciò “sviluppare la riforma passo passo” e il “tempo” sono due condizioni che questa politica non sarà mai in grado di sostenere.
“Il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni” (Winston Churchill)
Che facciamo, ci rassegniamo?
No, assolutamente no. Proprio facendo tesoro del passato, bisogna trovare il modo di cambiare le cose. Secondo me, almeno nella PA, non sono più necessarie grandi riforme, ma interventi mirati per correggere qualcosa e poi occorre lavorare insieme con i dirigenti, gli stakeholder, i sindacati e soprattutto con i giovani perché poi questa pubblica amministrazione sarà la loro. Di una cosa abbiamo la certezza: non si può prescindere dalla pubblica amministrazione.
I fattori su cui agire li ho anticipati parlando del nuovo CCNL: organizzazione https://antonionaddeo.blog/2022/05/13/lorganizzazione-e-il-ccnl-funzioni-centrali-il-lavoro-agile/, capitale umano https://antonionaddeo.blog/2022/05/04/il-capitale-umano-nel-ccnl-funzioni-centrali-pubblico-impiego/ e formazione https://antonionaddeo.blog/2022/05/20/la-terza-parola-chiave-del-ccnl-funzioni-centrali-formazione/.
Questi sono i tre temi che secondo me occorre affrontare, ma non con leggi, norme e regolamenti, ma con le persone che li sanno affrontare.
Quindi alla domanda contenuta nel titolo si può cambiare senza riforme? La risposta è sì… ma per cambiare occorre partire dalle persone.
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